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Rembrandt: giovane con bambino

ARTE, IN PILLOLE, PER CAPIRE E IMPARARE (di Andrea Colore Soldatini)

Cerchiamo di imparare a vedere, vedere davvero, e a capire cosa fa la differenza tra uno scarabocchio e un’opera d’arte.

Accademia Artistica Rembrandt giovane con bambino AndreaColore Soldatini

Rembrandt: giovane con bambino

Per farlo, chiediamo aiuto a Rembrandt, e ad un suo disegno, apparentemente semplice, e invece… vedremo che universo proprio e intimo contiene.

Noi siamo poco avvezzi a ricercare sia i disegni preparatori dei Grandi Maestri (praticamente non vengono cercati mai), che gli schizzi, quelli che una volta fermavano l’essenza del vivere quotidiano, fosse poesia, dolcezza, malattia o morte, e ne rilasciavano una lezione di geografia, storia, arte e non so più cos’altro. Elementi ed aspetti di quando la gente osservava, e la vita che fluiva sotto i suoi occhi era permeata di contenuti che sembravano banali, ma che tutt’altro erano.

Partiamo da un disegno, un abbozzo, che pare semplice, ma non lo è affatto. E impariamo a leggerlo, come solo in Accademia Artistica insegniamo a fare.

Abbiamo una donna con un bimbo in braccio, una invisibile scala e un lontano accenno di caminetto. Stop. E tutta una scena domestica da leggere, con una perizia magistrale esecutiva per raccontarla.

Come si può vedere, lo sfondo e le persone sono divise in due zone primarie. Luci e ombre. E allora, direte voi? Allora, dico io, è una divisione fondamentale. Intanto crea tridimensionalità, e ci dice come sono disposti luoghi e persone. O meglio, ce lo suggerisce, perché Rembrandt, come altri Maestri, non dipinge ciò che vede, ma ce lo suggerisce tramite il suo modo di lavorare. I primi aspetti che Rembrandt ricerca sono le posizioni, intensità e direzione luci e le ombre (sull’uso della luce e delle tonalità in queste fasi diremo da altra parte), perché quelle, oltre ogni dire e ogni fare, delimitano il campo d’azione, la profondità di una scena, la tridimensionalità, la profondità di campo e via discorrendo. Certo, noi avremmo bisogno di un pelino in più di lavoro, quisquilie, inezie, pinzillacchere, ma a lui bastava macchiare letteralmente il foglio, e aveva già sistemato la cosa.

Queste differenze le spiegheremo in altra occasione: per ora ci deve bastare acquisire il fatto che la donna sta lasciando la parte più intima del luogo (ombre e caminetto alle spalle, scale in discesa) e sta andando incontro alla luce piena, che non può essere solo quella di una finestra, ma magari di una finestra più la porta, o più finestre.

La donna sta lasciando la parte “notturna” della casa, per andare verso la luce, il giorno, l’esterno. Questa è una prima azione, nonché una precisa collocazione spaziale e forse anche temporale. Possiamo ipotizzare il momento del risveglio mattutino, la giornata inizia… e qualcuno di molto piccolo non è d’accordo.

Dopo impostazione di luci e ombre, una sommaria quanto eterea divisione della zone con linee finissime che vanno a formare gli agganci per il resto del disegno e della composizione (quelle più visibili sono sul muro e sul caminetto alle spalle della donna).

Poi passa a delineare in contorni (e Accademia Artistica è l’unico gruppo didattico, nonché a breve Istituto, che seguendo la linea di insegnamento classica è in grado di insegnare, appunto, tali concetti, come i contorni, mentre non c’è verso di trovare alternative, in giro, se non realtà che parlano, copiano, ma non sanno fare, mentre il sottoscritto, a chi vorrà, GLIELO INSEGNA, scusate il sassolino) e le forme. Appena accennate, schizzate, abbozzate, quasi interpretabili a piacimento, ma… qui scatta la grandezza e la lectio magistralis di Rembrandt

Per imparare a leggere questi capolavori (per me al pari delle opere finite, visto i perfetti tocchi negli aspetti importanti) dobbiamo imparare a guardare con attenzione.

Il bambino, evidentemente un po' recalcitrante e poco propenso alla collaborazione (lo si vede anche dall’espressione) cerca di muoversi, già grandicello, e di risalire e/o sganciarsi dall’abbraccio della giovane mamma e/o balia (e io sono più propenso a credere alla seconda ipotesi, vista la giovinezza della ragazza, il fatto che indossa un semplice vestito, non ricco, e la differenza evidente di età tra un bimbo già massiccio e l’esile figura della donna.)

In testa i capelli sono raccolti in trecce arrotolate, una acconciatura semplice, non impegnativa, molto pratica per chi deve eseguire compiti domestici, e una lieve cuffietta, come andava allora, esile e trasparente, di servizio diremmo oggi, in semplice cotone, senza orpelli.) Ma proseguiamo nell’analisi del disegno.

Questo movimento genera una forza creante una richiesta maggiore di prestanza fisica da parte della donna. Ed il vero capolavoro sta qui, nell’esprimere al tempo stesso reazione al bimbo mentre è in corso un movimento naturale.

La postura della donna è sublime. Il braccio cinge fortemente il bimbo (guardate come senza disegnarle Rembrandt suggerisce le forme del braccio, del gomito e dell’avambraccio, nascosti sotto il vestito, che premono e fanno forza per tenere il bimbo).

Il sederino si proietta in fuori, mentre viene schiacciato anche verso l’alto, e in seguito a questa azione di stringimento per una presa più salda le gambe sono quasi abbandonate, strette nell’abbraccio, e penzolanti. Mentre il bimbo viene tenuto su, quasi si “rincalca”, bloccato da sotto mentre la parte superiore del busto tenta di svincolarsi, con il braccio del bimbo che preme sulla schiena della ragazza per trovare il punto di appoggio e di contrasto per spingersi in su (non è un semplice abbraccio) e la testa si muove suggerendo le intenzioni del bimbo…magari quelle di tornare al lettino caldo dove era fino a pochi secondi prima.

La ragazza sembra accennare un bacino, al bimbo, o il sussurrare qualcosa sottovoce per ammansirlo. Nessuna aggressione, solo amore.

La schiena della donna, nella parte lombare superiore, sta flettendo sotto la spinta del bimbo, ma non cede, come giunco flessuoso, la spalla in primo piano regge quasi tutto il peso dell’azione del bimbo, mentre i deltoidi (la parte che dalle spalle va verso il collo) quasi si inarcano, si ingobbiscono, per lo sforzo di contenere il movimento avverso.

Il tronco della donna, lo si nota perfettamente paragonando la parte superiore del corpo a quella inferiore, si torce lievemente, sempre sotto la spinta del bimbo. Sono tocchi quasi invisibili, ma qui, proprio qui, sta la grandezza dell’Artista. Non sta disegnando i movimenti esagerati di una supereroina della Marvel.

È una balia, una giovane madre, una ragazza, con un bimbo. E succede quello che da millenni accade, in ogni parte del mondo, tra una donna e un bimbo piccolo. E lui ne fa un’opera pittorica, fatta di segni impercettibili, naturali, perché così sono nella realtà.

Il movimento della donna invece continua quasi fluido, senza interruzioni né contraccolpi. Sta scendendo un gradino, e ce lo suggerisce la gamba piegata mollemente, quella che è in primo piano, più avanti, e che fluidamente sta reggendo il peso dei corpi, essendo la gamba portante, sulla quale si accentra tutta l’attenzione.

Ma la scala non c’è. È solo suggerita, la creiamo noi con la nostra mente, raccogliendo gli input che Rembrandt ci manda.

Il vestito segue le linee della gamba, non si scompone, e anzi quasi si adagia sulla gamba stessa, senza pieghe di movimento o di trazione, così chiamate, rimanendo gonfio e morbido. E qui abbiamo un’altra genialata, che indica la grandezza dell’Artista. Forma del terreno a parte (NON è disegnata, ma solo suggerita dalle ombre), la parte posteriore del vestito NON ha ancora abbandonato il gradino precedente, e trascinata mollemente nel movimento si piega, morbida e languida, scorrendo quasi volando sul gradino precedente, più alto, e assumendo una piega diversa, ma così morbida e naturale che suggerisce come la discesa degli scalini NON sia affatto precipitosa (anche per l’attenzione nei confronti del bimbo), ma estranea e continuativa rispetto alla scena che si svolge “al piano di sopra”.

Il passo non è incerto, ma sicuro e spedito. La donna sa cosa sta facendo e dove sta andando, anche se non ha lo sguardo a terra, segno di una evidente familiarità con l’ambiente in cui si trova. Anche il cordoncino del vestito, terminante in un sacchetto, è a piombo, non svolazzante come invece sarebbe se la scena fosse vissuta in affanno. Aspetti nascosti, non rilevabili, ma che il nostro cervello registra.

Ultimo tocco, la decorazione sulla balza del vestito, non disegnata, ma anch’essa suggerita, in primo piano, e in un’ombra nel secondo piano.

Il gioco di ombre è semplicemente meraviglioso. Pochi tratti di bistro (quello vero, non quello che vi raccontano i maghi Merlini dei tutorial web), poche pennellate differenti come intensità e pennello carico (sempre poco, qui di pennelli intrisi di colore non ce ne sono), e vediamo come le ombre portate dei corpi, vicinissime al contatto tra superfici (visi bambino / donna, l’ombra sotto il vestito sullo scalino , quella appena percettibilmente più scura sotto il lembo del vestito rimasta sullo scalino) siano leggermente più intense di quelle dei volumi, sul vestito e la schiena della donna. Mentre le ombre riflesse e portate accennanti al muro e al camino sono ancora meno marcate, seppure presenti, e creano lo stacco per il fondo.

Noi non saremo mai a quel livello, ma possiamo imparare a leggere i tratti dei Grandi Maestri, e rubare il mestiere. Loro, non vivendo nell’epoca umanamente sciagurata nella quale viviamo noi, completamente ciechi nell’universo dell’immagine trasmessa ovunque, guardavano, e guardavano bene assai. Anche il più piccolo movimento, la scena più banale, nascondevano insidie progettuali, sfide compositive e poesia da raccontare, e loro la coglievano.

È così, sarà così, la scena si sarà svolta in altro modo…non si sa. Ma basta che sia verosimile, ed ognuno trova, nella sua sensibilità, il “film” dove inserire questo fotogramma. La sua trama. E questa è la grandezza dell’Arte trasversale, immortale. Ognuno trova la sua stria, e quel frammento può essere inserito in mille storie differenti… tutte vere.

E questo insegnavano nelle Scuole e Istituti d’arte fino ad una trentina di anni fa. Poi… la tecnologia e i nuovi cervelli hanno quasi distrutto tutto, e sostituito con niente…

Meditiamo, gente, meditiamo e impariamo. Con Accademia Artistica cerchiamo di riportare in auge un certo modo di vedere e gustare l’Arte, e con Arte Viva in Mostra Permanente cerchiamo di restituire a chi opera, indipendentemente dal livello, la capacità di guardare e di essere guardati, capiti, compresi.

Ed ecco che lo spettacolo dell’Arte, fosse anche un semplice nocciolo di ciliegia, si apre davanti a noi. Basta saper vedere davvero… e raccontare, senza perdere poesia per strada.

Facile, ma quasi impossibile se si affrontano questi temi da improvvisati. Quasi impossibile, ma facile se si vuol capire come fare.

Rembrandt non ha usato il computer o le app. Ha raschiato la canna del camino, macinata, filtrata (noi possiamo usare acquerelli, tempere, inchiostri, caffè, oppure orzo, che ha tonalità differente) un cartoncino preparato alla vecchia maniera o anche no, purché non bianco, una matita, un pennello e un pennino.

E poi tanta, tanta osservazione.

Questo aveva lui, questo abbiamo noi. Non ci importa essere come lui, ci importa essere noi stessi, e scoprire come davvero possiamo essere capaci di fare cose incredibili.

Grazie dell’attenzione.

Andrea Colore Soldatini

 

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