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Nulla dies sine linea

Tradotta letteralmente, significa nessun giorno senza una linea. (Plinio il Vecchio, Storia Nat., 35) - La frase è riferita al celebre pittore Apelle, che non lasciava passar giorno senza tratteggiare col pennello qualche linea. Nel significato comune vuole sottolineare la necessità dell'esercizio quotidiano per raggiungere la perfezione e per progredire nel bene.

Per praticare in termini accettabili e tecnicamente corretti l’Arte, soprattutto la propria arte, la prima impostazione da adottare, un vero e proprio spartiacque fra il successo e la mediocrità, è la totale dedizione allo studio e alla pratica dell’arte, a partire dal disegno.

L’Arte richiede esercizio costante. Cosi come un pianista non lascia passare giorno senza esercitare le dita e percorrere tutta la tastiera; così come una ballerina esegue faticosi esercizi alla sbarra e gesti atletici ripetuti: così come un acrobata del circo ripete decine di volte gli stessi movimenti, fino a definirli al millimetro; così come uno sportivo deve fare sforzi e sacrifici per diventare campione, allo stesso modo l’artista deve esercitare ogni giorno la sua arte, poco o tanto che sia.

NULLA DIES SINE LINEA, dicevano gli antichi. Non deve passare giorno senza che sia tracciata una linea, un segno che non vengano esercitate mano e mente.

LA MENTE PER IMPARARE A VEDERE

LA MANO PER INTERPRETARE QUANTO LA MENTE HA OSSERVATO

L'osservazione  

L’abilità di un’artista nasce e si sviluppa, si rivela, tramite l’osservazione. Gli studi teorici e tecnici, da soli, non sono bastanti a produrre “bene” se non associati ad una osservazione costante. Tutto quanto è possibile apprendere in merito a forma, colore, anatomia, composizione, prospettiva e via discorrendo non riesce a formare un’artista se l’artista stesso non li mette al servizio di una accurata osservazione delle persone e delle cose che lo circondano.

Con l’osservazione l’artista eserciterà occhio e mente alla proporzione, al colore, alla luce.

E POI SI PROCEDE…

Nel disegno, c’è una parte progettuale, creativa, chiamiamola come vogliamo, ed una parte esecutiva. Le due parti sono strettamente correlate, molto più di quanto si immagini, ma obbediscono a regole e comportamenti assolutamente contrastanti.

Nella prima parte, vale il gesto, l’idea, il definito indefinito... ci vuole un gesto morbido, un avvicinarsi alla soluzione ideale ma per gradi. Per questo si chiamano schizzi, abbozzi, delineare i volumi, le masse chiaroscurali.

E’ una vera e propria fase di progettazione, in cui gli elementi che girano in testa, facenti parte di un’idea, trovano una via d’uscita, imboccano il braccio, scendono a valle, fluiscono nella mano, si incanalano nelle dita, si raggruppano nella matita (e quel che è) e finalmente arrivano sul foglio, ma solo quando sono lì sopra, noi riusciamo a vederli bene e con chiarezza. E quindi spesso capita che vadano aggiustati, perché in testa sembravano definiti, ma in realtà erano fumosi, annebbiati, sfumati. Allora parte la fase di studio, perfezionamento, definizione di tutti i componenti.

Nella fase esecutiva, invece, si procede al contrario, e cioè i segni devono essere puliti, meno numerosi possibili, morbidi, non calcati e, precisi ed esatti. A seconda dei soggetti, qui le righe, i righelli, le squadre, i compassi e i goniometri giocano un ruolo fondamentale.

Ma tutto, alla fine, sparisce, se davvero ci si esercita e ci si allena ogni giorno (NULLA DIES SINE LINEA, dicevano gli antichi: non deve passare giorno senza tracciare una linea), perché, disegni tecnici a parte (che sono tutta un’altra cosa) tutto il lavoro di impostazione, misura, delineamento, composizione prospettiva, chiari, scuri, etc, etc,.... lo fa la mente, che assimila le funzionalità di tutti gli oggetti, butta via i corpi in plastica oramai inerti, e fa lavorare la mano. Ecco che allora, ad esempio in plein air, si esegue un paesaggio e la prospettiva è perfetta.

Nel caso della suddivisone del foglio, e/o della presa dei punti di riferimento, ad esempio, io consiglio, insegno, caldeggio e promulgo di fare sempre tutto a mano. Tutti tendiamo ad andare storti, facendo una linea... ma il gioco sta proprio lì. Io insisto sui miei difetti finché, a forza di volontà, non diventano pregi. Quindi tutti i miei errori (ne faccio anche io, ovviamente) diventano, invece che stress, argomento di nuovi studi e riflessioni, ulteriori allenamenti, finché non eseguo perfettamente e scavalco il limite.

Fino a trovarmi di fronte alla nuova sfida.

 

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