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Rembrandt: "The Rest on the Flight into Egypt"
("Il riposo durante la fuga in Egitto")
Spiegazione e analisi del Maestro Andrea Soldatini

Rembrandt The Rest on the Flight into Egypt il riposo durante la fuga in egitto Spiegazione e analisi del Maestro Andrea Colore Soldatini

RIPOSO DURANTE LA FUGA IN EGITTO Rembrandt van Rijn

Olio su tavola

34 x 48 cm 1647

National Gallery Ireland

Genesi dell'opera

Una volta informato della nascita di un bambino, un bambino speciale, unico, ritenuto il "Re degli ebrei", il re giudaico Erode ordina l’uccisione di tutti i bambini maschi di età inferiore ai due anni a Betlemme.

Quella notte, un angelo appare a Giuseppe, in sogno, e gli suggerisce di fuggire con la sua famiglia in Egitto, per salvare il Bambin Gesù. La sacra Famiglia parte rapidamente, ma decide di camminare lungo costa, allungando il viaggio (che durerà circa dieci giorni) piuttosto che passare per la strada interna, più corta a trafficata, ma per questo più sorvegliata e pericolosa.

Nel cammino, Giuseppe e Maria, con il figlio di Dio, si uniscono a dei carovanieri. Il tema del dipinto sembrerebbe raffigurare una normale sosta notturna, in attesa di riprendere il camino, Ma non è così

Definito anche “paesaggio notturno”, mossa scioccamente assurda (qui c’è azione, pensiero, pathos e culmine della tensione, il paesaggio c’entra come il cavolo a merenda) questo lavoro, realizzato su una piccola tavoletta, è uno dei massimi capolavori di Rembrandt, e della storia dell’Arte tutta.

Prova ne sia il fatto che in realtà Rembrandt rubò l’idea a Hendrick Goudt, e più precisamente da una sua incisione, della quale però, sfortunatamente, non si ricorda quasi praticamente nessuno. La classe del Maestro ha superato i secoli, cancellando e polverizzando ogni altra opera del genere

Perché questo lavoro ha un valore così assoluto, totale, indiscutibile?

Quest'opera non è soltanto semplice. È più che minimalista. È praticamente vuota. Indefinita. Non vi sono elementi particolarmente riconoscibili, dettagliati. Non abbiamo maniglie per aggrapparci, niente di convenzionale o manieristico… eppure siamo dentro, totalmente, riconosciamo tutto, e percepiamo all’istante

Non ci sono spunti rifiniti, eppure… eppure…

…eppure, l’occhio tutto vede, e tutto coglie, senza fallo. Non c’è niente da vedere, freddamente e analiticamente, ma l’occhio non smette di guardare…e il sogno si avvia, si avvera, diventa realtà. Perché è un racconto, un film, e il pittore ci fornisce tutti gli elementi giusti per vivere profondamente, fin nel proprio intimo, l’ambientazione surreale ma concreta di una avventura pericolosa, che cambierà i destini del mondo.

Gli elementi sono inesistenti, tranne qualche particolare accessorio e propedeutico alla bisogna. Ma allora, come ha fatto Rembrandt a costruire un dramma impattante, rivoluzionario, e questa ambientazione precaria, senza fine, eppure certa?

Lo fa alla sua maniera, monumento e cosmico maestro dell’Arte umana. Lo fa usando la luce, come solo lui sa fare…o meglio, lo scintillare della luce stessa. Come deve essere la pittura figurativa classica: ombre, luci… e suggerimenti all'anima

Tanti parlano di luce “Caravaggesca”, ma sono molti (e io, ultimo tra gli ultimi, sono con loro) a ritenere dire che il vero Maestro della luce, o meglio del racconto e della resa materiale tramite il dosaggio dei suoi bagliori, rendenti un pathos infinito, è proprio Rembrandt, che non illumina mai appieno le sue costruzioni, ma ne dosa il fulgore, la fonte, con trucchi, invenzioni, colature di biacca, stratagemmi visibilissimi ma che l’occhio rapito non coglie, impegnato com'è a inebriarsi e a perdersi nella meraviglia dell’immaginario non dipinto, ma sussurrato delicatamente al cuore e agli occhi

Pensare che Rembrandt, già avviato a brillante carriera (l’opera è del 1647, Rembrandt Harmenszoon van Rejin ha già 38 anni, e dipinge da più di 24), si perda nel fare un quadretto notturno così, tanto per fare, è pura follia. Significa non conoscere la realtà religiosa dell’epoca, un tempo che fu il periodo d’oro olandese, con riferimenti ed eventi religiosi e sociali di grandissima importanza. E significa conoscere poco o niente il personaggio.

Rembrandt, credente dedito e vocato quanto basta ma assolutamente nella media del tempo, non si muove a caso.

È taccagno, anche un po' infido, furbastro, spendaccione, burbero e litigioso, ma ha un talento assurdo, quasi schiantante, ed è un veloce ascesa. Non ha tempo né voglia di mettersi a fare lavoretti minori…se non perché, per lui, minori non sono. E se c’è una cosa che teme e rispetta, è Colui che sta in cielo. E in quest’ottica lavora

Come moltissimi della sua epoca, conosce a menadito la Bibbia e i testi classici. Tutti i suoi soggetti sono importanti, compresi gli eventi, e questo è un evento fondamentale, per il credente che è (lui farà molte scene di genere riguardanti la Sacra Famiglia e gli accadimenti ad essa collegata, fin dalla giovane età): il suo Signore è braccato, cacciato, inseguito perché se ne decreti la Morte. E Giuseppe e Maria sono soli in fuga, diretti verso l’ignoto. Tutto deve ancora accadere: noi lo sappiamo, loro no, e la paura e l’incertezza regnano sovrane.

Partiamo da qui

La sacra famiglia deve trovare riposo: ha scelto una strada più lunga di quella ideale, ma meno pericolosa. Aggregati a dei carovanieri, si fermano per la notte. Ma di tutta questa storia, dei perché e dei percome, nell'opera non vi è traccia. Perché Rembrandt non vuole raccontare una storia, ma il carico emotivo, storico, religioso che questa storia avrà sui popoli, e sui poveri essere che li formano

Tutto è buio, ma non è il buio normale: è tenebra. Sono le tenebre del mondo, in un mondo di male, che avversa e combatte la nuova religione, ma soprattutto la nuova venuta. È un mondo ostile, tetro, nemico, angosciante. Figure oscure si muovono e stazionano nell'ombra, e noi, guardando il quadro, non sappiamo più se quelle forme appena distinte sono alberi, arbusti, cespugli…o umanità persa, sola, ostile, cattiva. E se anche fossero solo masse di fogliame, quali occhi si nasconderanno, nascosti dal mantello della notte, quali mani prezzolate e lorde del sangue di migliaia di innocenti stringeranno pugnali, mazze, archi…quali cuori fermi e inariditi attendono il momento giusto per porre fine, sul nascere, al cambiamento del mondo?

Sarà un caso che questo sia l’unico “paesaggio” notturno nella produzione di Rembrandt?

Tutta l’opera, per quanto piccola, rende la vastità del vuoto, la profondità dell’abisso, la desolazione del mondo senza luce e senza vita che scalda, illumina e rende speranza. Per quanto piccolo sia il supporto, la composizione rende perfettamente l’enormità del mondo perso, che forse, in parte, attende speranzoso un nuovo avvento, ma che nell'attesa rimane oscure e silente, anche per paura. La stessa paura che hanno Maria e Giuseppe, costretti però a muoversi. I sicari possono essere ovunque, e hanno necessità di raggiungere un luogo sicuro

Ma anche qui, Rembrandt non definisce il nucleo familiare, né i carovanieri, o zingari, o altro, ai quali la Sacra Famiglia si è unita. Non è importante, non è affatto importante, al confronto della potenza sconvolgente con la quale questo evento cambierà il mondo, definire le figure. Non è questo che conta.

È la potenza sconquassante del miracolo che sta avvenendo, e del quale ci rende testimoni. Per farlo, non dipinge scene epiche e cruente, ma il tremore, l’insicurezza, la fragilità, la precarietà dell’esistenza stessa, anche in una semplice notte. La paura umana, che umana non è, ma che viene vissuta da esseri semplici, in balia degli eventi, pallidi e deboli custodi della potenza del figlio di Dio.

Questo vuole Rembrandt… e non si muove mai a caso, lui.

Sono fermi, stanchi, in una rientranza di una roccia. Accedono il fuoco, si preparano forse a mangiare, chissà. Per tetto hanno le fronde di un albero, debolmente rischiarate dal fuoco, ma che visivamente formano una capanna, meglio, una grotta…e noi sappiamo l’importanza di un tale luogo, nella religione cristiana.

Ma al tempo stesso è un riparo esile, fragile, temporaneo, instabile. Basterebbe una piccola pioggia e già la sua funzione, forse, verrebbe vanificata, ma al momento è tutto ciò che hanno a disposizione. Ed è già molto, perché come mano pietosa si stende sul capo dei viandanti, come ad assicurare che per quella notte, almeno per quella notte, dormiranno al scuro

Il fuoco… quel fuoco, così piccolo, neanche ancora al massimo della potenza, ma già così illuminante, forte, potente, dirompente, da ricavarsi una nicchia di luce, rompere le tenebre, combattere l’oscurità, mettere in fuga demoni e denti scintillanti. Un’impresa sovrannaturale, ed è incredibile quanto automatico e naturale pensare all'analogia tra il fuoco, letto in questo modo, e il piccolo Bambin Gesù.

Il messaggio è forte: è piccolo, in fasce, infante, ma già dirompente, potente da fare paura, da dover essere eliminato. Ancora vagheggia, e già gli uomini lo seguono, o cercano, divisi tra Bene e Male, speranza e luce e amore per le tenebre. Una cosina piccola così che però, come nel quadro, combatte da sola tutta l’oscurità. E quella massa nera, componente la maggior parte del quadro, si ritira, rabbiosa, sconfitta, impaurita e ferita, di fronte a quella piccola luce, ma intensa, intensa, così intensa da perforare qualunque forma di male la circondi. Così forte da dare speranza nel buio, nuova guida

La scena si riflette nell'acqua placida, pulita cristallina. Acqua limpida, chiara, che disseta, rinfresca, nella quale lavarsi, entravi immondi e uscirne purificati. Nella quale specchiarsi, riflettersi, e vedersi migliori. Anche in questo caso non è casuale l’accenno all'acqua, elemento iconograficamente importante, nella storia di Cristo, quanto la stella cometa.

Ed è proprio lì, vicino a quell'acqua, che si posa la sacra famiglia, quasi a sembrare di esserne la fonte, vita per il mondo, simbolo di purezza e vita nuova. Anche lo specchio d’acqua, così brillante nella notte oscura, uno dei pochi elementi visibili, ha il suo spessore narrativo e comunicativo all'interno della composizione

Ma l’azione non si compie solo in basso. In alto, quasi all'insaputa dei soggetti, le nubi si aprono, senza roboanti tuoni, ma silenti e dimesse, aprendosi, ritirandosi, mentre la luce dell’avvenire avanza. Certo, è la Luna, certo è la sera, ma è anche un’alba, l’alba del mondo che verrà, illuminato, salvato, protetto. La fonte di luce ancora non si vede, pare perfino un po' lontana, ma se ne percepisce già la possanza, l’intensità, e quelli che già diradano le tenebre sono i raggi lunghi, l’avanguardia della vera fonte di luce, della vera vita… della verità.

Una tavolozza quasi indefinibile

Andare ad analizzare le tinte usate nella composizione è operazione impossibile e francamente nulla. L’unico modo per capire un po' la tavolozza usata è vedere il quadro dal vivo, fermandosi davanti all'opera il tempo bastante a “leggere” le nuances usate. Noi vediamo solo foto, ed ogni foto ha colori diversi, ma credo che la foto analizzata (e della quale vi metto il link sotto) sia quella più fedele all'originale. E colpisce questo verde marcio, né ftalo, né vescica, né mestica precisa, un impasto greve, più vivo in alcuni punti ma sempre grigiastro, smorto, e non solo per la notte. Una varietà di microvariazioni tonali, ma sempre sulla stessa base, quasi a dire che il male è comune (Hanna Harendt scrisse un libro, facendo riferimento al processo di Norimberga, intitolato appunto “la banalità del male”), che non è mai morta, ma neanche mai viva… una natura ottusa, come spesso è il male, che racconta ma nulla aggiunge di valoroso e utile.

La luce che si affaccia, in alto, riprende le stesse tonalità schiarite, si, ma sporcate di ocra, anch’essa con un impasto denso, che si muove, agitato, mesticato con il pennello come fosse intonaco, sporchissimo, eppure bucante le nubi e recante l’avviso di splendore e speranza. Solo guardare le microvariazioni presenti in questa piccolissima porzione di quadro richiedere ore, per capire e comprendere come Rembrandt ha operato, che visione aveva, e perché non si è accontentato di una semplice pennellata bianca

C’è tutta la tecnica del mondo, in queste pennellate pastose e nascoste, ma anche tutta la sapienza di avere piegato la tecnica al volere dell’Artista, che voleva, voleva, assolutamente voleva raccontare la magnificenza insita in un semplice atto, in un elementare momento, apparentemente pacifico, della sera che scende, e del momento del riposo e dei pensieri

In una tavoletta di legno, 34 x 48 cm…

Andrea Colore Soldatini

 

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